TERZA SUPERCAZZOLA PSICOLOGICA: STAI ATTENTO CHI STUDIA PSICOLOGIA LO FA PERCHÉ HA PROBLEMI

Questa è una supercazzola che mi crea un grande disagio, d’altronde avendo studiato psicologia ho grossi problemi !🤦😂

Allora, faccio una premessa: sebbene la psicologia non studi solo il disagio umano è altrettanto vero che chi studiarebbe psicologia se non si fosse reso conto di quanto sia importante dare al disagio emotivo le giuste risposte?

Perché poi, fatto un adeguato lavoro su se stessi, non mettere a disposizione di altri questa vocazione?

Ma per venire strettamente al tema della supercazzola: chi nella vita non ha mai dovuto confrontarsi con periodi emotivamente dolorosi, perdite, forme traumatiche più o meno importanti? In poche parole: chi non ha mai avuto problemi?

Voglio darvi una notizia positiva: se pensate di essere immuni da eventi traumatici, delusioni e perdite vi sbagliate di grosso!

Lo so, starete pensando: “ecco lo psicologo malato che è in lui”. Vi smentisco subito: questa me l’ha suggerita il mio amico immaginario e lui non ha studiato psicologia quindi è “normale”. Diciamo che oltre al mio amico immaginario lo dicono anche i libri (di psicologia, quindi vedete voi se fidarvi perché tendono ad essere scritti da psicologi), basti ricordare che tutti siamo almeno nati e la nascita di per sé è un evento traumatico.

Pensateci, anzi voglio darti del tu per descrivere questo passaggio sublime, pensaci: lì dentro eri tranquillo, temperatura costante, tiepida al punto giusto, riposavi quando volevi, mangiavi senza nemmeno chiederlo, se qualcosa non ti piaceva al massimo tiravi due calci o facevi venire le nausee a chi ti nutriva, che ci pensava due volte a ingozzarsi di tortillas, o al contrario se eri vorace la facevi mangiare come uno squalo; non sentivi rumori, tutto ovattato; nessuna fatica, neanche quella di andare di corpo o farti una doccia. Nemmeno in un villaggio benessere 5 stelle superior si sta come quei primi 9 mesi indimenticabili, anche se in realtà poi ce li dimentichiamo tutti (a livello cognitivo ma nona livello emotivo-corporeo)! Ma di colpo, con un dolore che non puoi nemmeno descrivere, ti sputano fuori e ti trovi a sentire freddo, caldo, fame, cacca, pipì, che oltretutto devi imparare a tenere perché non puoi farla dove vuoi. E il primo che vedi è un medico, che se non ti sente piangere ti tira due sberle lui come festa di benvenuto, perché vuole essere sicuro tu sia vivo: ma non basta chiederlo? Sentire il polso? Andare sulla fiducia? Già lì capisci l’importanza di piangere al momento giusto. Poi è chiaro che molti diventano autolesionisti: minchia se non soffro di mio mi meni. E poi incontri il tuo papà, sempre che sia lui, e soprattutto i nonni, che cominciano divincolarsi, avere gli spasmi e fare i gargarismi per tentare di comunicare con te. Lo chiamano baby talk, ma tu se potessi chiameresti il 118 descrivendo il fenomeno come un attacco di epilessia. Appena nato sei al centro dell’attenzione, poi progressivamente ti fanno scendere dal palco e ti fanno sentire uno dei tanti e se sei veramente “fortunato” anche il primo degli ultimi. Un po’ come la storia di Babbo Natale: per anni fanno di tutto per farti credere che esiste, si arrabbiano se avanzi qualche dubbio, poi un giorno arrivano e ti dicono che non esiste, come se tu non lo avessi capito da tempo visto che ormai hai 25 anni. Così con il tuo essere al centro: prima sei il loro sole, la loro vita, sei il centro dell’universo e ad un certo punto: “Condividi con Gigino i tuoi giochi!! Anche lui ha diritto di giocare!” Lui? Cos’è lui? Ma non c’ero solo IO al mondo? E la tragedia raggiunge livelli epici quando ti mandano all’asilo, scusate sono vecchio, alla scuola dell’infanzia. Già il termine “scuola” dell’infanzia fa fastidio. Quasi si dovesse imparare l’infanzia quando l’infanzia è per sua essenza spontaneità! E lì cominciano i primi dolori: la condivisione in comunità. Se vai al nido da centro dell’universo di colpo ti trovi a dover condividere tutto con altri centri, questo è il vero multiverso, anche se l’unica cosa che condivideresti volentieri è il vasetto. Ma quello no, ce l’hai sempre attaccato al culo tu, e non è una metafora, finché non impari a farla nel water. Il water!! Quel momento di riflessione e pace che ti accompagnerà per il resto della vita. Dove ci sono persone che hanno composto libri, non messaggi, gente che sfiora la paresi dopo ore sulla tazza perché si addormentano le gambe, il water dove tutti torniamo allo stesso livello: infatti pensa a qualsiasi persona che ti mette soggezione, paura o di prestigio e immaginala seduta sul water….si ridimensiona di colpo, anzi più si atteggia e più immaginare quel atteggiamento sulla tazza è esilarante. E qui mi collego ad un altro trauma, l’abbandono del pannolino con annessi e connessi: abbandonare la possibilità di farla dove vuoi, abbandonare la soddisfazione di vedere la faccia del papà inesperto che ti cambia il pannolino, parlandoti in preda alle convulsioni da baby talk, e d’improvviso scopre che sei piccolo ma che la fai a spruzzo come un grande e che non è saggio sottovalutarti e cambiarti tenendo abbassata la guardia.

Proseguendo con lo sviluppo, già all’asilo o a scuola, o comunque prima o poi tutti facciamo il primo incontro con una specie che crescendo troverai sempre più frequentemente tra il genere umano: lo stronzo. Lo stronzo è trasversale alle età, ai sessi, ai ruoli, cambia solo di intensità e negli effetti ma lo puoi trovare: nell’insegnare frustrato che ha sbagliato mestiere, nel compagnuccio bullo dolce come il “torsico” (traduzione letterale dal veneto torsego= veleno), nel gruppo che ti isola, nel deviato che non ha meglio da fare che infastidire le infanzie altrui, o qualsiasi membro, in nome omen, del genero umano che in modo più o meno aggressivo e iniquo ferisce o traumatizza il prossimo. È questione di sfiga rispetto all’intensità dello stronzo che incontriamo, ma la vita è democratica e uno stronzo prima o poi lo incontriamo tutti. Anzi, a volte lo stronzo sei proprio tu, perché almeno una volta anche noi siamo stati o saremo lo stronzo per qualcuno, almeno cerchiamo di esserlo di bassa intensità e con un minimo di eleganza, ecco uno stronzo con il frac. Il rischio più grande è che se da piccoli incontriamo troppi stronzi o anche pochi, a volte ne basta uno, ma ad alta intensità e con un ruolo particolarmente influente su di noi rischiamo di introiettarlo, a volte amplificandolo, e così diventiamo gli stronzi di noi stessi. Ma il vantaggio è che quando siamo gli stronzi di noi stessi possiamo anche decidere di non esserlo più.

La vita poi continua e di suo è birichina e prima o poi tutti ci troviamo a dover affrontare una perdita: da piccole perdite a grandi perdite, tipo la sintonizzazione del digitale terrestre. Questa battuta in sé nasconde una verità: il valore ad una perdita lo dà ciascuno di noi e nessuno può giudicare quanto dolore è adeguato provare. Possiamo perdere una persona cara perché muore, oppure perché si rompe una relazione, possiamo perdere il lavoro, possiamo perdere una sfida importante con la vita, come possiamo perdere il celibato o il nubilato, ma in questo caso guadagnamo l’amore…scusate la smanceria, mi correggo subito: ma in omaggio guadagnamo una suocera! Anche qui la battuta svela una cosa importante: ogni passaggio ad una fase successiva dello sviluppo personale rappresenta un momento delicato ed in sé può essere vissuto in modo più o meno traumatico. Pensate che tra le cose più stressanti della vita di una persona le ricerche dicono che vi sia il cambiare casa, a meno che tu non abbia il mio vicino che invece del birdwatching e dell’orietiring come hobby ha il “cazzdeglialtrwatching” e il “seposstirompolepalling”, il che vi assicuro compensa abbondantemente lo stress di un trasloco.

Pensiamo all’adolescenza, al passaggio dal mondo della scuola al lavoro, oppure il cambio di lavoro e per finire la pensione. Il massimo del potenziale disagio dato da quest’ultimo passaggio di vita si manifesta nel passare il tempo a guardare gli altri che lavorano nei cantieri: questo è il muratorwatching, il mio vicino soffre anche di questo. Sono tutti eventi che possono creare stress, difficoltà e problemi, anche molto grossi: pensate per esempio un artigiano veneto quando va in pensione, non poter più lavorare 25 ore al giorno, aver del tempo per sé, stare a casa con la moglie, ma soprattutto lo stress per la moglie ad averlo a casa tutto il giorno! Per questo molti non versano i contributi, non per evadere ma per sopravvivenza al senso di vuoto da fatica evitando di andare in pensione.

Tranquilli, non voglio essere troppo pessimista, perché a un certo punto il rischio di tutti questi potenziali traumi finisce, anche se a festeggiare restano gli altri, soprattutto se vi siete fatti un’assicurazione sulla vita.

Dai, un po’ di dark humor per esorcizzare la paura della morte ci vuole, dopo il Brown humor di prima per esorcizzare la stitichezza.

Tutto questo per dimostrarvi in modo diversamente serio che la vita per sua natura ci pone di fronte a problemi, perdite e delusioni oltre che a gioie, conquiste e soddisfazioni.

Non tutto scorre sempre liscio, ed è proprio per questo che lo psicologo è uno che ha problemi, perché è un uomo/donna tra gli uomini e non una figura mitologica: metà uomo e metà toro, non per le corna, ma perché per non avere mai avuto problemi ci vorrebbe un gran culo!

Come sempre senza offesa per nessuno dal vostro satirologo humor coach nonché psicologo diversamente serio o comico diversamente psicologo.